Durante la lunga marcia i quattro zingaroni ebbero modo di
capire il piano del Magocuoco: si trattava di un inganno, anche se a fin di
bene, ai danni del buon Pantagruel.
Giunti nei pressi di Cettardo, non fu difficile trovare il
mostro mangiauomini. Dopo pochi minuti che si furono cosparsi il corpo di sugna,
Pantagruel balzò fuori dal bosco sbavando, attirato dal profumo irresistibile
di quelle salsiccette umane. “Fermo, amico! Placa la tua voracità, siamo gli
zingari, tornati da te con la ricetta magica che ti guarirà!” La gioia del
mostro nel rivederli fu grande: li baciò, li abbracciò e non potette esimersi
dal leccarli tutti, deliziosi com’erano…
“Carissimo Pantagruel!”, esordì il Magocuoco, “io sono
Giacomo. I tuoi affezionatissimi amici mi hanno condotto qui perché io possa
guarirti. Ho cucinato per te una ricetta magica con ingredienti speciali, per
procurarsi i quali Shesmek, Shesbek, Alamelek e Franco hanno compiuto un
viaggio pericolosissimo. Adesso, mentre io mi accingo a cucinare, essi ti
narreranno le loro gesta”. Pantagruel sedeva su un tronco d’albero caduto, i
gomiti appoggiati sulle ginocchia ciccione e le mani a sorreggere il viso sul
quale si stava già formando un’espressione di meraviglia e stupore. Nessuno si
era mai preoccupato per lui, mentre adesso queste persone avevano addirittura
compiuto un viaggio rischiosissimo per aiutarlo! Il suo cuoricione già
esultava: tutto l’amore rimastogli imprigionato dentro finalmente aveva rotto
gli argini e tracimava allegramente verso i quattro zingari, inondandoli.
“Io”, cominciò Alamelek, “come ben sai sono un grande acrobata:
il mio compito è stato quello di recuperare per te il Pepe di Massaciuccoli,
una spezia che cresce unicamente in cima ad un albero alto cento metri posto al
centro di un lago la cui acqua acida è in grado di corrodere un uomo. Per
recuperare una manciata di quel pepe ho dovuto tendere una corda magica dalla
riva del lago fino all’albero, ho camminato in equilibrio e infine mi sono
arrampicato su su fino alla cima.” Pantagruel strabuzzò gli occhioni, si battè
le enormi mani sulle ginocchia e abbracciò forte Alamelek, tanto che il nostro
equilibrista fu quasi soffocato dalla ciccia straripante del mostro.
Per salvare l’amico intervenne Shesbek: “e tu non sai
ancora, caro Pantagruel, quel che io ho fatto per recuperare i celeberrimi
cavoli della Contessa di Serristorri! Si è trattata della più grande e
rischiosa impresa amorosa della mia vita. Devi sapere che la Nobildonna
possiede alcune sementi rarissime, utilizzate unicamente per la mensa del Papa;
il suo orto si trova dentro le mura di un castello sorvegliato da un’intera
guarnigione di Guardie Svizzere. Non c’era modo di entrare. L’unica
possibilità- mi sono detto- è quella di convincere la Contessa stessa a donarmi
come pegno d’amore una delle sue preziosissime Verze di Capoverde e un Cavolo
nero d’Abissinia. Caro Pantagruel, non puoi immaginare quanto sia stato
difficile conquistare quella donna! Ho dovuto duellare contro valorosi
cavalieri, ho cantato cento notti una serenata sotto la sua finestra, ho
scritto tonnellate di lettere e poesie lodandone l’impareggiabile grazia e la
bellezza. Ma alla fine ce l’ho fatta, tanto che adesso non faccio che ricevere
cavoli da lei. Pure il Papa, vedendosi mancare le prelibatezze del suo orto, si
è parecchio risentito.”
Il mostro mangiauomini era commosso, piangeva di gioia
tenendosi la testona fra le mani. Apprese di come Shesmek, dopo aver
scalato il monte Olimpo, fosse riuscito
a procurarsi il Pan di Giove convincendo gli Dei del cielo a donargliene un
pezzo e dell’impresa di Franco, il quale raccontando storie fantastiche ai Re e
alle Regine delle Corti più importanti d’Europa aveva raccolto talmente tanti
doni da poter comprare per Pantagruel ben un chilo del cibo più caro al modo, i
celeberrimi fagioli du Chanel che
crescono unicamente una volta ogni vent’anni nei Campi Elisi a Parigi,
all’ombra della Tour Eiffel.